Il 4 maggio del 1949, 72 anni fa, moriva il Grande Torino. 31, fra giocatori, tecnici, dirigenti e giornalisti, si schiantarono contro la Collina della basilica di Superga, a bordo dell’aereo che li riportava a casa dopo una partita di beneficienza giocata a Lisbona. A soli 4 anni dalla fine della guerra, fu una tragedia che fece ripiombare l’Italia intera nella disperazione. Incredibilmente evocativa – visto anche il luogo dove è avvenuto il drammatico incidente – la vicenda del Grande Torino riesce ad emozionarci ancora oggi, nonostante la stragrande maggioranza di noi non ne abbia mai visto le mirabolanti gesta (figuriamoci dal vivo). I nomi di molti di quegli eroi (perché tali erano considerati dall’intero popolo italiano, grazie ai loro successi raccolti in ogni dove) fanno letteralmente accapponare la pelle: Valerio Bagicalupo, Guglielmo Gabetto, Ezio Loik, Virgilio Romualdo Maroso, Valentino Mazzola, Franco Ossola, Mario Rigamonti, per citarne solo alcuni. Tre giorni dopo la disgrazia, Torino fu letteralmente invasa da una folla mai vista (i testi narrano di oltre 600.000 persone), convenuta sotto la Mole per salutare la squadra detta degli “Invincibili“. I granata, infatti, vinsero per cinque volte consecutive il titolo italiano (nel 1943 e poi, dopo i tre anni di stop imposti dal conflitto mondiale, nel 1946, 47, 48 e 49). A fronte di una percentuale media di vittorie pari a circa il 70%, nel campionato 1947-48 il Toro segnò la cifra record di 125 gol. Mai, in tutta la storia del calcio azzurro, la Nazionale si è identificata in maniera così massiccia con quella di un club come avvenne con l’imbattibile compagine piemontese. Purtroppo, di sciagure simili nel calcio ne sono capitate altre (basti pensare al Manchester United, decimato nel 1958 o, in tempi più recenti, alla fine della rappresentativa dello Zambia nel 1993 e all’incredibile incidente occorso in Sud America alla Chapecoense nel 2016, causato, pensate, dalla mancanza di carburante nell’aereo), ma nessuna, in assoluto, riveste il valore emotivo di quella occorsa al Grande Torino. Forse perché tutti si ritrovarono all’improvviso orfani di un sogno legato alla rinascita o, ancora, perché negli anni, nonostante le incredibili cronache legate a squadre fortissime (ne citiamo poche per questioni di spazio: il Real Madrid di Puskas, l’Inter di Herrera, l’Ajax degli anni ’70, il Milan di Sacchi, il Barcellona di Guardiola), nessuna è mai più entrata nella leggenda come quella. Chi ha avuto la fortuna di poterla ammirare, racconta di un meccanismo così perfetto che lo stesso Valentino Mazzola sarebbe potuto tranquillamente andare in porta e nulla sarebbe cambiato. Tutt’oggi, i tifosi del Toro sanno che sono diversi da tutti gli altri perché, da quel lontano 4 maggio 1949, dentro di loro scorre, e scorrerà per sempre, sangue di colore granata.
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