Vicenza detiene un incredibile primato fra le “provinciali“. Due dei quattro giocatori italiani a vincere il Pallone d’Oro, prima di salire sul tetto del mondo hanno vestito la sua maglia a strisce biancorosse: Paolo Rossi, che il Mondiale l’ha vinto, e Roberto Baggio, che, invece, lo ha perso, calciandolo in curva (gli altri sono Gianni Rivera, nel 1969, e Fabio Cannavaro, 2006). Pensate: noi abbiamo avuto l’incredibile fortuna di incontrarli entrambi, nello stesso giorno, l’anno scorso a Trento. Sabato, c’erano quasi tutti i compagni di quella irripetibile squadra del 1982 al funerale di Paolo Rossi (chi non ci è potuto essere, come Ciccio Graziani, o Dino Zoff, ha pianto in solitudine). Quel feretro sulle spalle di Antonio Cabrini, Marco Tardelli, Giancarlo Antognoni, Lele Oriali, e via dicendo gli altri che si sono stretti per l’ultimo saluto intorno all’indimenticabile “hombre del partido” (come fu definito dagli schermi del Nou Camp dopo la doppietta in semifinale alla Polonia), ci ha fatto sentire davvero vicino a loro, alla nostra storia, alla gioventù che, anche grazie ai gol di Pablito, conserviamo nel cuore come un tesoro di inestimabile valore. Spillo Altobelli in lacrime, vere, disperate (lui che in realtà ne era la “riserva”), un gentile signore di mezza età (avanzata), inconsolabile, che ancora non si capacitava di aver perso un amico. Le due donne della vita, Federica e Simonetta, abbracciate a piangerlo e, nello stesso tempo, ricordarne le tante qualità. Il figlio trentenne, Alessandro, che, prima che il papà partisse per il cielo, gli ha promesso di badare lui alle sorelline che hanno posato due fiori sulla bara. A noi ha colpito molto la presenza, quasi in disparte, discreta, di Baggio. I suoi occhi lucidi. La consapevolezza che non avrebbe più visto l’uomo con cui condivide quel record “vicentino”. Le sue parole in una bella intervista, come lo sono tutte, le sue interviste. C’erano undici anni di differenza fra i due, così diversi (l’uno scanzonato, consapevole di quanti regali gli avesse fatto la sorte e capace di non prendersi mai troppo sul serio, l’altro profondo, riflessivo, pieno di gratitudine ma anche di rimpianti, come quel rigore che sogna tutte le notti) ma così simili, segnati dagli infortuni, baciati, e prescelti, dal Dio del Calcio. Quel Dio che, appena 15 giorni prima, aveva voluto nella sua squadra pure Diego. Quel Dio che, ora, potrà contare sulle triplette, adesso realmente immortali, di Paolo Rossi, per sempre “l’hombre del partido”.
Villalibre e Ciampolillo, eroi per un giorno!
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